La Parigi-Roubaix è forse la corsa più affascinante. Troppe variabili incidono sul risultato finale. Non basta il motore. È fondamentale anche la capacità di guida, la fortuna, la capacità di bucare meno. E anche le bici e l’assetto, necessitano di accorgimenti particolari.
Partiamo con la bicicletta.
Le ruote, mentre anni fa era praticamente obbligatorio avere ruote tradizionali da 36 o 32 raggi, ora con i nuovi materiali quasi tutti i corridori usano ruote in carbonio con profilo da 20-30 mm.
Le coperture, mentre sono da 23-24 mm per una corsa normale, per la Roubaix sono da 28-30 mm a seconda del corridore. Questo per dare un appoggio più “comodo” a terra.
Per via del percorso accidentato e per la larghezza del tubolare, la pressione passa dai 9-10 su strada a 5-6 bar.
Il manubrio non deve essere ergonomico ma avere un tubo tondo per via del gel inserito sotto a dove poggiano le mani e all’eventuale doppio giro di nastro che alcuni corridori utilizzano.
Alcuni corridori montano del freni cantilever (vecchi freni che si usavano nella MTB) al posto dei freni tradizionali da strada, per evitare che, in caso di fango, si formi una crosta proprio in quel punto che potrebbe rallentare la ruota. Nei tratti di pavè, il fango è molto argilloso e tende a solidificarsi velocemente.
Alcuni corridori, che usano abitualmente la sella senza imbottitura, per la Parigi-Roubaix ne usano una più imbottita.
Il telaio, di solito ha il passo più lungo (da mozzo a mozzo) per distribuire l’impatto col terreno su di uno spazio maggiore e quindi diluire leggermente le vibrazioni. Questo vuol dire un carro posteriore più lungo ed un angolo piantone più steso all’indietro.
Alcune case costruttrici fanno anche un telaio dedicato con un carbonio con una fibra in grado di dissipare maggiormente le vibrazioni. Alcuni altri aggiungono degli inserti per assorbire le vibrazioni, vedi gli zertz per Specialized. Altri ancora hanno praticato un’apertura nel piantone per interrompere più possibile le vibrazioni che arrivano dal terreno, ad esempio la Cannondale.
Una volta attuato tutti questi accorgimenti per soffrire meno il pavè, viene fuori la classe di guida e il colpo d’occhio che ti porta ad essere sempre nel punto più “sano” del pavè. Questo ti aiuta anche a diminuire la probabilità di forare in gara.
Per quanto riguarda la posizione, alcuni ciclisti, provano ad avvicinare la sella ad una posizione MTB per avere più guidabilità (leggermente più avanzata). C’è da precisare però che gli spostamenti sono di pochissimi mm. I km di pavè sono solo 50 contro i 200 su strada. Non si può sacrificare troppo l’efficienza di pedalata per avere un piccolo guadagno di guida nel 20% di percorso.
Io il pavè l’ho conosciuto nel 2004 quando presi parte alla Roubaix amatoriale. Il primo tratto l’ho affrontato di adrenalina e ne sono uscito convinto di poter fare una grossa prestazione. Il secondo tratto mi ha portato qualche dubbio. Il terzo tratto invece mi ha portato ad essere convinto che sarebbe stata una giornata di infinita sofferenza. E così è stato.
Anche per Davide (Cassani, ndr) nel 1985 è successa più o meno la stessa cosa con qualche watt in più rispetto ai miei. Nel primo tratto di pavè usciva nei primi 5 convinto di poter vincere la corsa. Tratto dopo tratto le gambe sono diventate più pesanti. Nel tratto di Aremberg entra a 50 kmh, poi passa a 40, poi a 30. Il gruppo se ne va con le ammiraglie così si ritrova costretto a fermare una golf verde e a scroccare un passaggio per Roubaix.
La Roubaix è forse la gara più dura che c’è. Dove tantissime componenti concorrono al successo finale. Non è un caso che ogni anno siano sempre i soliti a giocarsi la vittoria finale. I vari Cancellara, Boonen, etc sono campioni sia a livello prestativo ma anche come capacità di guida e di sensibilità di guida. Non è un caso che sul podio salgano sempre atleti con un alto wattaggio di soglia e una corporatura da passista.