Pubblico con piacere l’avventura di Luca Pisanu. Un ragazzo come me che si presenta alla sua prima Parigi-Roubaix e la finisce.
“Ho bisogno di emozioni forti. Da tre anni il Cagliari raggiunge senza infamia e senza lode la salvezza matematica con qualche giornata d’anticipo e non c’è verso di far uno straccio di punto contro intermilanjuve. Condannato a eterne domeniche senza batticuore e troppo vecchio per ruoli da protagonista nel porno amatoriale, riscopro la bicicletta pedalata, tanto amata da mio padre e molto più bella di quella guardata per anni in tv. La rinuncia al cinema d’autore succitato spezzerà il cuore di tutte le donne del mondo tranne una. Mia madre, felicissima di sapere che da amatore andrò invece a fare la Parigi-Roubaix per portare a Cagliari un pezzettino di pavè. Per fortuna trovo i contatti di un’agenzia di Cattolica, la BluFreccia di Simone Prioli, che si dimostra disponibilissima a darmi i consigli necessari per affrontare una tale follia.
Perchè di questo si tratta… Una Follia! Non ho mai pedalato per più di 80km in un giorno in vita mia e mi ritrovo sul bus destinazione Inferno del Nord con una banda di matti che parla di Stelvio e Mortirolo come io posso parlare di Gianicolo e Aventino. Capisco che l’alimentazione è importante ma evitare per qualche giorno di guardare partite di calcio inglese e bere ettolitri di Guinness basterà? Opto quindi per insalatina svizzera con apporto proteico fornito da qualche capello di Michelle Hunziker (tale doveva essere quello trovato visto il prezzo!!!), baguettes in gommapiuma e cioccolatini dalla carie assicurata.
Il viaggio è lungo e serve per fraternizzare, anche con quelli che seguono il calcio e sono juventini. Non si sa mai servano lepri, anche se zebre, da mandare in fuga!
Arrivati sfiniti ma ancora vivi (sarà questa la vera impresa?), c’è giusto il tempo di darsi un appuntamento per il sopralluogo del giorno dopo allorquando si andrà tutti insieme appassionatamente in pellegrinaggio alla Foresta di Arenberg! Non faccio fatica ad addormentarmi, i miei sogni sono un’orgia di rapporti (52×21, 39×23, 50×17…) più o meno agili. Il dolce risveglio è assicurato da miele e marmellata in abbondante quantità a colazione. Sono circondato da biciclette una più bella dell’altra, mi piacciono e le vorrei tutte. Prima ero così anche con le donne, poi ho scoperto che parlavano e ho lasciato perdere.
Il gruppone è bello variegato e agguerrito. Passisti, cronoman, scalatori, velocisti e anche qualche musicista blues (io…). Con mia grande sorpresa riesco a tenere il passo e godermi l’allegra “scampagnata” verso il Mito. La Foresta di Arnberg incute rispetto e timore ma non fa male, non ti accoglie perchè sei tu ad accogliere lei dentro di te. Al primo timido appuntamento il colpo di fulmine è stato inevitabile! E quando le dici “tornerò” lei ti sorride perchè sa che lo farai e non è gelosa degli altri tratti di pavè.
Dopo aver condiviso le emozioni con i compagni di fuga si rientra in albergo. Vengo accolto da Marco Gatti di Bike Technology, esperto in valutazioni biomeccaniche. Boh, che sarà? Mi dice “siedi qui”, “metti i piedi così”, “alza i talloni”, “metti le mani sopra le ginocchia”, “metti la schiena dritta” e dopo cinque minuti viene fuori che la mia postura è tutta storta, che le impronte dei miei piedi sembrano la cartina dell’Indonesia a Risiko invece che un qualcosa di simmetrico come dovrebbero essere. Ma Marco è troppo garbato e gentile per dirti che dovresti amputarti il piede sinistro, lasciar perdere il ciclismo e darti all’alcool. È invece prodigo di consigli su quelli che potrebbero essere elementi da sempre trascurati dai ciclisti della domenica (anzi, del sabato. La domenica spesso gioca il Cagliari…). La sella, la posizione, le scarpe, il manubrio. Ed io che pensavo che per andare in bici bastasse pedalare…
Purtroppo però è difficile correggere in corsa (nel vero senso del termine…) i miei difetti di neofita delle dueruote. E’ ormai e finalmente 10 giugno e per ora mi dovrò accontentare di arrivare al Velodrome di Roubaix come idealmente promesso a mio padre. Per certi versi pedalare è un po’ come suonare. Se fai parte di un buon “gruppo” senti di meno la fatica e se poi c’è un pubblico che ti spinge, fosse anche composto da persone care che non ci sono più o che stanno cucinando il porchetto in Sardegna, man mano che ti avvicini alla fine vorresti la fine non arrivasse mai. La magia della Roubaix la senti immediatamente dopo l’ultima pedalata dell’ultimo settore di pavè del Carrèfour dell’Arbre dove i gesùcristisantiemadonne non si contano più. Sei sfranto, cadaverico, non ce la fai più e le vesciche sotto i guanti professionali in gel fanno un male cane (ah, già, è vero! Io, come Tom Boonen, non avevo i guanti… infatti non mi sono venute le vesciche!). Ma non appena inizia il tratto d’asfalto, trovi un’energia dentro che non sapevi di avere e i 30km che ti separano dal Velodrome te li divori letteralmente ed un po’ spavaldo. Ti accompagnano pensieri e domande mentre sfrecci a 40km all’ora per le strade di Roubaix.
Se avessi cominciato prima a pedalare invece di guardare ciclismo in tv, se non mi piacessero il Blues e la vita dissoluta del musicista, la Guinness alla spina, l’agnello allo spiedo che mio zio prepara a Natale, se avessi incontrato
Marco Gatti di Bike Technology venti anni fa e seguito i suoi preziosi consigli post valutazioni biomeccaniche che ora so cosa sono, se… se tante altre cose… avrei vinto io a Pasqua al posto di Tom Boonen? No… Ma mio padre comunque è felice e forse anche un po’ orgoglioso per quel pezzettino di pavè.”